L'attuale viaggio fu piacevole, e ci parve anche relativamente breve. All'aeroporto di Boston, alla dogana, un impiegato di colore mi restituì il passaporto dopo averlo timbrato con un confidenziale:
"Enjoy yourself Diana" Divertiti Diana!
Io lo fissai attonita, scandalizzata da tanta intimità e replicai:
"Scusi, ci conosciamo?"

Al banco "Servizi" erano offerti solo alberghi di prima categoria e l'Hilton era fuori città.
Bene giacché eravamo in ballo tanto valeva godercela.Al diavolo dunque scelte restrittive.
Scegliemmo ridendo l'hotel più lussuoso di Boston il "Parker House".
Il numero uno in assoluto degli alberghi Top del mondo occidentale. Comodo, ci dissero e vicino alla "Trust Company".
Ci saremmo potuti andare a piedi risparmiando sul tassi. E già immaginai di dormire nello stesso letto usato in precedenza da Kissingher. Che gioia!
Arrivati in hotel e lasciati finalmente soli esplodemmo tra noi di gioia.
"Guarda qui…guarda là.."
Lontani da casa, e momentaneamente perlomeno anche dai problemi, ci stava salendo dentro una grande allegria. Sembravamo due ragazzini, il mio compagno ed io, usciti per la prima volta da casa, in libertà.
E sì che di posti ne avevamo visitati tanti. In Oriente e ovunque la nostra liretta era apprezzata. Ma qui, il dollaro con l'effige severa dello Zio Sam pesava e non poco..

Ancora non riuscivo a capire perché Walter non faceva che ripetere:
"Ti rendi conto?.... mila dollari! Che fortuna!"
No, non mi rendevo conto e neppure volevo perder tempo a pensarci. Il valore del denaro non mi toccava nemmeno lontanamente né mi interessava più di tanto.
Stavo vivendo un'avventura, questa era la fortuna, il tesoro trovato.
Dormimmo poco quella notte, eccitatissimi, sprofondati in un letto scomodo che pareva sprofondare nel borotalco.
La mattina successiva quindi, parecchio rincretiniti per il cambiamento di clima e fuso orario, seppur armati dalle più serie intenzioni di "atteggiarci" a comportamenti seri e distaccati, alla maniera del più inglese dei "Self control".
Così scendemmo nella Hall diretti alla sala da pranzo per consumare una superba colazione, con il "Times" trovato dietro alla porta della camera, sottobraccio a Walter e una rosa fresca tra le mie mani con cui continuavo a giocare nervosamente.
Eravamo ora seduti sui bordi di una larghissima fontana moderna, con mezz'ora d'anticipo, al centro di una modernissima piazza di fronte all'oceano.
I miei occhi rivolti in su, alle mille finestre di un grattacielo dalle lucide vetrate di cristallo. Un grattacielo che si perdeva tra altri grattacieli, altri vetri di cristallo su cui il sole rifletteva come in uno specchio l'immagine del cielo, d'altri edifici, d'alberi, monumenti e fontane. Un collage fantasmagorico d'immagini ripetute in diverse dimensioni ed inquadrature.
Walter indossava i suoi soliti Jeans, camicia a maniche corte dal taschino pendente come sempre per il troppo pieno di sigarette, accendino, caramelle ..
Io maglietta e Jeans troppo sbiaditi dal tempo, la borsa grande marca europea falsamente firmata.
Lì l'avrebbero presa per originale e avrebbe fatto il suo "Show". Importante è che tutto faccia assolutamente "show" in America.

Alle dieci in punto prendemmo l'ascensore vastissimo nel grattacielo di totale appartenenza della Boston Trust Co..
Da solo pareva una stanza. Un impiegato vestito di tutto punto, cravatta troppo sgargiante, ci guardò stranamente. Stava salendo con noi, tanto per non farci sentire sperduti in tutto quello spazio.
"A che piano?" domandò la mano pronta a sfiorare dei tasti
"All'ultimo" rispondemmo all'unisono.
"Ah, quello manageriale! Io così in alto non sono salito mai e sono dieci anni che lavoro qui"
Lo guardammo sorpresi e lui guardò noi. Si intuiva il suo pensiero: "Parenti poveri di qualcuno? Eccentrici?"
"Forse avresti dovuto metterti una cravatta, sussurrai a Walter. E lui a me:
"Mai. Nemmeno per ....mila dollari.
Fummo accolti da una graziosa ragazza.
Ci introdusse nella sala riunioni! Un salone tutto parquet, come si vede al cinema, al centro del quale troneggiava un lunghissimo tavolo circondato da sedie.
Nessuna pareti! Eravamo circondati da una sola immensa vetrata, aperta alla luce, al tetto degli altri grattacieli, ai mille riflessi, al vicino passaggio di un aereo sulle nostre teste insonorizzate, ad una nuvoletta che ci sorrideva sorniona, ad un porto che si apriva sull'oceano laggiù in basso un oceano infinito che mischiava ai nostri occhi nel continuo sali e scendi il suo azzurro con quello del cielo...
Addio "Self Control". Addio atteggiamento distaccato.Troppo affascinante lo spettacolo grandioso aperto per noi.

Una leggera tosse si fece udire alle nostre spalle!
Mi voltai per provare un sol attimo d'imbarazzo, un attimo solo cosi persa com'ero dentro ad un panorama davvero fantastico.
Avevo già dimenticato perché ero lì, anzi ancora non lo sapevo!
Poi con il mio impulso di sempre, di quando sono molto triste o molto felice andai verso l'uomo dal sorriso aperto. Era sui cinquant'anni, folta criniera di capelli nerissimi, mani grandi posate sui braccioli di una sedia a rotelle.

Dio…anche questa adesso...
Gli andai incontro e lo abbracciai, con slancio, come se lo avessi conosciuto da sempre, come nel ritrovare un grande amico, una persona cara, come se trattenessi a stento le tante cose da dire...la mia gioia per quello spettacolo, per l'oceano, il cielo, il sole riflesso...
Persino Walter fu contagiato da lui e da me, che ricambiò il nostro calore.

Eravamo davvero in America? Eravamo davvero arrivati in un altro continente?
Le nostre domande si incrociavano veloci, senza dare tempo alle relative risposte, per far posto ad altre domande, ad altre risposte. Nessun preambolo che denunciasse una recente conoscenza adesso, seduti comodamente sulle sedie manageriali dei top manager di una top Company.
Jack voleva sapere tutto di me, ultimo nome vivente di personaggi iscritti nella sua lista lunga e privata. Si comportava come una persona di famiglia.
Conosceva mia nonna Bostoniana. L'aveva incontrata nei racconti di suo padre, aveva appreso delle suo origini che erano anche le origini di quel paese.
Appresi così di questa mia nonna che faceva parte della cultura di Jack e della sua terra e, che facevano entrambi parte, della nascita di quella nuova terra chiamata America.

Jack conosceva tutto sul fratello della nonna rimasto negli U.S.A. fino alla sua morte dopo una lunghissima vita vissuta lì, a dettar legge sulle sorti di uno stato, al contrario della sorella, mia nonna appunto rimasta in Italia dove aveva trovato la sua seconda patria.
Conosceva Jack quasi tutto sul mio papà, sulla sua infanzia, la fanciullezza. Sapeva che aveva sposato una cittadina Svizzera e che insieme avevano avuto una bambina.
Da qui il mio nome sulla sua lista...
Pareva stesse raccontando la storia della Saga dei Fortsithe, non la mia storia.
Era affascinato, mi guardava come una cosa rara, ed io guardavo lui come un'altrettanto grande rarità.
Una persona preziosa, un essere straordinario che dalla sua sedia a rotelle aveva passato quasi sette anni di vita a cercarci, a cercarmi poi, per consegnarmi quell'assegno di 200 mila dollari, con la gioia di avermi conosciuta, manco fosse stata zolla della sua terra.

"Non mi chiedi un documento?Una ricevuta? Chiesi sorpresa.
"Assolutamente no, riconosco la tua voce. E sono contento di vedere il tuo viso, di conoscerti personalmente.
Avrei odiato, dopo tanti sforzi dare questo denaro ad una voce". E poi rivolgendosi alla sua segretaria: "non credi anche tu che siano persone eccezionali?"
E giocando, lui a super manager, e noi da persone semplici quali eravamo sempre stati, in un momento d'assoluta folle allegria collettiva ci recammo tutti insieme nella"stanza dei bottoni" dell'ufficio.
E ci fecero risentire la voce di Walter nel suo primo contatto telefonico registrato e la sua frase:
"Siamo molto occupati, quindi se si tratta di una sciocchezza..."

Prendemmo nuovamente l'ascensore, e in molti questa volta.
Un gruppo di dirigenti e il personale al completo di quel piano alto, per scendere in allegria, tutti insieme.
Qualche piano più in basso il veicolo si fermò per lasciarci rientrare l'uomo tutto agghindato che ci aveva tenuto compagnia in una parte della nostra precedente salita.
Si mise in un cantuccio e si fece piccolo piccolo, ma ci individuò e concluse tra sé, ne sono certa, che dovevamo essere persone molto importanti per essere circondati da tutto quello staff, ma anche imperdonabilmente eccentrici:
"Quella maglietta..quei jeans"

Il pranzo si svolse in un continuo chiacchierio, in un ristorante giù al porto, come si usa tra amici di vecchia data che festeggia la gioia di ritrovarsi e di stare insieme.
I piatti furono serviti nella più democratica delle varietà. Dall'aragosta, ai frutti di mare, al salmone, alle patate fritte con bistecca, ai sandwiches con molto ketchup.
Un gran miscuglio di caratteri, di genti, d'origini e di piatti. Un vero e solo immenso sentimento.
"Comunicativa umana".
Fu triste dividersi poi, e lasciare Jack qualche ora più tardi
Ma era stato anche tanto bello essersi incontrati.
Così si concluse una storia eccezionale voluta da una persona eccezionale!

L'indomani Walter ed io eravamo nuovamente in viaggio.
Un pulmann ci avrebbe condotti ancora più lontani, alle Chiuse di San Lorenzo, in Canada per visitare le famose cascate del Niagara!
E solo su quel pulmann confortevole e veloce finalmente mi addormentai, stanca da tante emozioni...
E Sognai...sognai vedendo me stessa sdoppiata in due diversi personaggi e nel loro incontro simultaneo pur trattandosi di due epoche diverse, riunite in una sola.

Non ricordavo esattamente la mia età adesso.
Ero una signora snella e serena di circa 130 o 140 anni. Passeggiavo con il mio lungo abito bianco, stretto in vita, strisciante in terra.
Un abito tutto fru fru, con l'ombrellino della stessa stoffa del vestito ornato di nastrini, aperto per riparare la mia bianchissima pelle delicata dai raggi solari.
Passeggiavo per l'Huntingthon Avenue, lì a Boston.
Il Viale che portava il nome della mia famiglia, lo stesso nome che aveva poi ereditato la mia nipotina...una nipotina molto lontana nel tempo e che oggi sarebbe venuta a trovarmi.
La stavo aspettando da tanti anni. Troppi. Ed oggi sarebbe finalmente arrivata da lontano di quel tempo, lontano dal mio spazio…poi sfumando la scena cambia e mi trovo a passeggiare sotto gli alti pioppi adesso, la ove le automobili devono ora transitare silenziose, con le radio spente e i clacson decisamente muti.
Il vocio umano appena un brusio, per non disturbare gli attuali, altolocati residenti della zona. Ed eccola che mi viene incontro la piccola figura sorridente. Una giovane donna bruna con indosso sbiaditi Jeans e una semplice maglietta rosa...
Ci incamminiamo così insieme sottobraccio e in quel passeggiare le racconto una ben strana storia.

Nel lontano 1907 avevo comperato delle azioni per i miei nipoti Charles e Mercedes.
Loro avrebbero beneficiato degli interessi di quel capitale per tutta la loro vita Un vitalizio inoppugnabile per le loro piccole necessità.
Il capitale rimasto sarebbe stato invece, alla loro morte equamente diviso tra tutti i loro figli. La "Trust Company" garante per tutti gli andamenti di mercato presenti e futuri.
E le vite di questi fratelli si intrecciarono e si divisero.
Charles rimase negli States malgrado il delinearsi degli eventi: gli anni trenta con le sue recessioni, il proibizionismo, la caccia alle streghe, la guerra di Corea ecc.
Divenne un ufficiale di carriera, sposò una signorina americana e terminò i suoi giorni molto anziano nel suo appartamento sulla quinta strada a New York.

Mercedes invece, durante un viaggio in Europa, dove il loro padre, in diplomazia, era stato trasferito si innamorò di un avvocato del Veneto.
Si sposarono ma il loro matrimonio non durò a lungo, il tempo per far nascere un figlio. Il suo soggiorno in Italia invece fu eterno quasi quanto l'eternità dei suoi anni. Il suo amore per i paese, per l'arte, la musica, la sua storia passata e naturalmente in parte anche da lei vissuta.
Il 1900, Guglielmo Marconi, la prima guerra mondiale, Dannunzio, la seconda guerra mondiale, la distruzione, la ricostruzione... e riuscì anche a vedere Mercedes, l'avvento dell'automobile, della macchina per volare, dell'aereo ad elica e un progresso tecnologico continuo fino ai primi satelliti e visse persino la notte davanti ad un teleschermo per vedere un suo connazionale posare il primo piede sulla Luna.

Charles, in America, per delicatissimi intrecci sentimentali non ebbe figli. Mercedes in Italia, ebbe anche una nipotina. Una sola ma bastava.
Bastava, quella nipotina, il suo essere al mondo per farla passeggiare adesso con questa strana esile, pallidissima signora che portava i nome di quel viale, i Suo nome.
"Svegliati...stiamo attraversando il confine."

E nel mio brusco ritorno alla realtà vidi divise canadesi salire a bordo del pulmann.
Uomini di un nuovo paese tutto da visitare per noi. Finanzieri che ci stavano chiedendo i documenti.
Dopo aver attentamente esaminato il mio passaporto confrontando la foto con il mio viso, quella guardia di frontiera, in giubba rossa dal viso gioviale abbozzo un sorriso e mi restituì il documento con un amichevole:
"Enjoy yourself Diana!" Divertiti Diana
Ed io di rimando.
"Scusi ci conosciamo?"





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